Corto Maltese
Corte Sconta detta Arcana
Corto Maltese: "Corte Sconta detta Arcana"
Testo e disegni: Hugo Pratt (assistito da Guido Fuga per i treni)
Versione a colori: Anne Frognier (1977), Patrizia Zanotti (2000)
1972-73: Rivista "Linus"
(M) 1974-1977: "Corte Sconta detta Arcana". Italia: rivista "Linus", Edizioni Milano Libri, n.1, n.3 - n.8, n.10 - n.12 (1974), n.2 - n.5, n.7, n.11 (1976), n.1 - n.7 (1977); 99 tavole a 4 strisce in bianco e nero (n.7 del 1976 a colori).
(R) 1978: "Corto Maltese en Sibérie". Francia: rivista "(A Suivre)", Casterman, n.1 (1978/02) - n.8 (1978/09); versione in bianco e nero.
Nel 1982 serie di acquerelli per la prima edizione a colori per il mercato francese (la colorazione di Anne Frognier è la stessa del 1977 per l'edizione Milano Libri) de "Corte Sconta Detta Arcana" ("Corto Maltese en Siberie").
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"...Quando Venexia mia
sora i tetti de le tue case
una gloria de sol
xe sparpagnada
lassime dir se
el paragon te piase
che ti me par una bela tosa spensierada..."
"A cosa stai pensando, Corto?"
"A Eugenio Genero, un poeta vernacolo veneziano"
Poesia di Eugenio Genero, nonno di Pratt ("Corte Sconta detta Arcana")
Tutto vero o quasi
Renata Pisu
Che differenza c’è tra il romanzo storico e la fiaba? Si sa che Alessandro Manzoni, alla fine, non seppe trovare una risposta. E che il suo maestro, sir Walter Scott, fa ancora mostra di sé nelle piccole librerie dei nostri bambini, dove Robin Hood si confonde con Robin Goodfellow, il diavolo folletto di una tradizione che va da prima di Merlino fino a Karl Marx. Qui, certo, nel mondo dichiaratamente fiabesco di Hugo Pratt, dichiarato tale dai più storici dei suoi personaggi, tutto è storico, reale, minuziosamente documentato. L’effetto di straniamento non si produrrebbe senza questa ossessione di realtà, senza questa caccia al dettaglio individuale che è la passione dei veri storici.
Del resto, l’effetto di straniamento è nato forse in questo paesaggio tra Cina e Siberia, in questi anni in cui Sergej Tretjakov e Bertolt Brecht cominciavano a conoscere la Cina e la sua cultura come qualcosa di reale, più stupefacente delle fiabe di Messer Polo. Dunque, dichiariamolo subito chiaramente. È tutto vero e ci vogliono ricerche che forse è peccato affrontare, per ritrovare in questo romanzo i dettagli e i personaggi che forse non sono esistiti (chi può dirci se non leggeremo domani, in qualche storia della rivoluzione mongola pubblicata a Ulan Bator, della feconda collaborazione tra i due dioscuri della rivoluzione, e il leggendario amico venuto da Occidente, Corto Maltese, marinaio come quelli del Potemkin?).
Roman Nikolaus Ungern Sternberg, preteso barone, mezzo tedesco e mezzo ungherese, ufficiale dell’armata dello zar e tentato erede di Gengiz Khan, è davvero esistito, naturalmente. E ha davvero dominato le vicende della zona di confine tra Siberia, Manciuria e Mongolia tra il 1919 e il 1920. Luogotenente dell’ataman cosacco Nikolai Scmenov, già comandante della guardia consolare di Urga e poi capo di una sorta di governo controrivoluzionario insediatosi a Cita nel 1918 sotto la protezione degli invasori giapponesi, Ungern è stato spesso descritto come un autentico folle. Semenov era mezzo mongolo buriato e una delle carte che giocò effettivamente nella guerra antibolscevica fu l’idea della risurrezione dell’impero di Tamerlano. Quanto a Ungern Sternberg, nessuno è in grado di dire come fu che si convincesse di essere la reincarnazione di Gengiz Khan, lui che avrebbe potuto benissimo essere un discendente dei cavalieri teutonici, quelli di Alexandcr Nevskij. Certo è che non ebbe successo nel convincere quelli che avrebbero dovuto essere i suoi sudditi, i nuovi cavalieri dell’Orda d’oro. Secondo il racconto di uno storico sovietico, l’armata che guidava nel 1920 era composta di 4000 russi, 1500-2000 tungusi e qualche decina di ufficiali giapponesi, mentre già l’anno dopo, quando entrò a Urga, il suo piccolo esercito era composto soprattutto dei giapponesi che lo appoggiavano. Però le sue fortune sembrarono davvero, per un attimo, promettere bene.
I mongoli erano irritati del dominio cinese dei signori della guerra, in particolare del “piccolo Hsu”, il generale che aveva dominato Urga e imprigionato il Budda celeste. Due mesi dopo la presa di Urga, Ungern Sternberg marciava già oltre la frontiera sovietica con un grosso esercito di 11.000 uomini, fondamentalmente reclutati tra i mongoli. Fu un errore fatale perché i russi avevano appena finito di aiutare la fondazione del partito rivoluzionario del popolo mongolo, di un governo provvisorio mongolo e di un esercito rivoluzionario del popolo mongolo: guidati, appunto, dai nostri Sukhebator e Choibalsan, il Lenin e lo Stalin della Mongolia, ancora oggi il più misterioso dei paesi e da allora il più fedele o l’unico vero alleato dell ‘Urss. I sovietici intervennero per la prima volta fuori della loro frontiera asiatica per respingere l’invasore e aiutare la rivoluzione mongola. Non ebbero difficoltà a sconfiggere il barone megalomane, definitivamente. E il 22 settembre 1921 lo processarono e le fucilarono a Novosibirsk. Anche il resto è vero.
Vera ovviamente, la storia dei cecoslovacchi che si impadronirono della Transiberiana e determinarono a lungo le sorti della guerra, in alleanza e in dissenso alternati con l’ammiraglio Kolciak e l’ataman Semenov. Vero, anche se oggi non ce lo ricordiamo più, che oltre ai giapponesi a Vladivostock sbarcarono i corpi di spedizione di tutte le principali potenze, inglesi, francesi, persino gli americani di Wilson, come qui si testimonia. Veri i nomi dei signori della guerra cinesi, Hsu Shi tseng e Chang Tso lin, alternatisi al controllo della Manciuria e anche loro amici e protetti dei giapponesi invasori. Il secondo, che non va confuso col (forse immaginario) generale Chang del racconto di Pratt (che lo nomina espressamente, forse per non farsi confondere con lui), finirà davvero su un treno, qualche anno più tardi. I giapponesi lo faranno saltare per aria, a Mukden, sperando di liberarsi di uno scomodo alleato concorrente nei controllo della Manciuria. Calcolo errato, visto che il figlio di Chang, il piccolo maresciallo Chang Hsuc liang, sarà un personaggio molto più scomodo. E qualche anno dopo arriverà a sequestrare Chang Kai sheck, forse d’accordo con i comunisti di Mao, per costringerlo a far la guerra sui serio al Sol Levante (questa storia si chiama l’incidente di Sian). Queste, ad ogni modo, sono vicende più tarde. Più antico, invece, è il nome della setta segreta femminile con cui Corto è alleato in questa storia, le “Lanterne rosse”. Questo era il nome dell’organizzazione femminile dei boxers, i rivoluzionari che per la prima volta fecero parlare il mondo del pericolo giallo. Pratt immagina (o sa?) che le Lanterne rosse siano risorte alla vigilia della rivoluzione cinese, provvisorie alleate del dottor Suo Yat sen in nome del riscatto del loro paese. Dopo qualche anno diventeranno il distaccamento femminile rosso, un altro nome caro agli appassionati di fumetti. Per concludere, un piccolo rimpianto. Peccato che la storia finisca qui. Fosse durata ancora pochi mesi, fino al settembre 1920, e forse Corto avrebbe accompagnato gli amici Sukhcbator e Choibalsan fino a Baku, non troppo lontano, al Congresso dei popoli dell’Oriente. L’avete appena visto, quel congresso, al cinema. Che bello sarebbe stato trovare anche Corto Maltese insieme a John Reed e a tutti gli altri.
Fonte: Renata Pisu, introduzione a "Corte Sconta Detta Arcana", Edizioni BUR, 1991.